Ex Voto di Ettore Satta Flores, al Pontificio Santuario di Pompei |
“Bombardati da tutta la difesa antiaerea di Pola colpiti più volte cadevamo da 3000 metri rimanendo illesi miracolosamente. Cielo di Pola notte 5-6 agosto 1915. Ettore Satta”*.
Passeggiando fra gli innumerevoli “Ex Voto” del santuario mariano di Pompei, sono stato colpito dalla fotografia, in bianco e nero, di un dirigibile. Avevo trovato traccia del disastro del dirigibile “Città di Jesi”, uno degli infiniti eventi tragici della Grande Guerra, fortunatamente (o miracolosamente) finito senza caduti. Si tratta del breve testo riportato sopra, redatto a mano, poggiato su una bandiera italiana e circondato da fotografie e da una piccola rappresentazione in argento di un dirigibile, l'oggetto centrale dell'evento, come da tradizione per i doni di ringraziamento alla Madonna. Chi rende grazie per lo scansato pericolo è il secondo capo nocchiere Ettore Satta Flores, di Napoli, a bordo del Città di Jesi con compiti di timoniere. Ripercorriamone la storia.
Il dirigibile della Regia Marina, alla sua prima missione operativa, era partito fra le 20.30 e le 21:30 del 5 agosto del 1915 con obiettivo l’arsenale e il porto di Pola, importante porto e centro strategico, attualmente in territorio croato. Per aumentare il carico bellico – poco più di mezza tonnellata di bombe dirompenti e incendiarie – il dirigibile era stato privato delle mitragliatrici difensive e, sembra, di uno dei motori. Verso la mezzanotte giunse in vista dell’obiettivo, qui fu però fu subito inquadrato dalle fotoelettriche e fatto oggetto del tiro dell’antiaerea. Il comandante decise di proseguire la missione, ritenendosi sufficientemente protetto dalla quota, ma fu costretto a ordinare lo sgancio delle bombe quasi alla cieca, non essendo in grado di vedere il suolo a causa delle luci puntate su di lui da terra. Subito dopo ordinò di invertire la rotta e prendere la via dell'Italia. Poco dopo, però, l’aeronave s’inclinò bruscamente con la coda in giù, segno che l’involucro era stato danneggiato. Inoltre i timoni di direzione erano in avaria e bloccati a sinistra, rendendo impossibile manovrare. L’aeronave finì in mare in poco tempo. L’intero equipaggio, comandato dal tenente di vascello Bruno Brivonesi era di sette persone, tutti recuperati da una torpediniera austriaco e internati a Mauthausen.
Dal campo di concentramento Ettore Satta riuscì a inviare in Italia una breve relazione, approfittando del rientro di un prigioniero con invalidità permanente, scrivendola sul bordo di una rivista austriaca che riportava un’illustrazione proprio dell’abbattimento del “Città di Jesi”. Il tono è meno curato, e quindi forse più vicino al vero, di quella ufficiale redatta dal comandante Brivonesi dopo il rientro in Italia. Eccola.
Rapporto del 2° Nocchiero Ettore Satta Flores riuscito a far giungere al Ministero della Marina nel 1916.
A 9 o 10 km da Pola fummo scoperti, accorgendocene dai testa d’albero che segnalavano. Andammo avanti lo stesso. Eravamo a 2700 metri e ci alzavamo sempre. Prima che giungessimo fu tagliata ed affondata la bandiera ed uscimmo tutti dal foro di poppa, andando sopra il pallone. Questo fu colpito in diversi punti nei compartimenti poppieri. Demmo mano ai coltelli per squarciare ancora, ma appena cominciato il lavoro la chiglia si rovesciò di colpo e venimmo buttati tutti in acqua. Intanto il pallone affondava sempre più mettendosi quasi verticale. Un aeroplano venne e lanciò dei fuochi, forse incendiari, che non colpirono. Poco dopo una torpediniera ci raggiunse e ammainato un battello dal quale un ufficiale con la rivoltella in mano ci gridava “si arrenda”. Il pallone era già più della metà affondato e continuava sempre ad affondare, perché andava via sempre più gas e si vedeva solo un pezzettino di prua. A Pola ci sono pezzi antiaerei che tirano fino a 6000 metri e con tutto ciò se ci veniva franca ancora per pochi minuti eravamo fuori tiro.
Bacio a tutti, amici e conoscenti, e che Iddio mi dia la forza e la salute per tirare avanti ancora. F.to Ettore Satta Flores.
L'abbattimento del "Città d Jesi" in una rivista austriaca, forse quella che impiegò Satta Flores per inviare la sua "relazione" in Italia |
La continua salita del dirigibile era consentita dal minore peso conseguente al consumo di carburante e al successivo rilascio delle bombe, ma non fu sufficiente a metterlo al sicuro. La relazione suggerisce che il dirigibile sia stato avvistato da unità di marina e che per questo le difese di Pola, peraltro ben attrezzate, erano state allertate, facendo perdere l’essenziale vantaggio della sorpresa. Testimonia anche di come gli italiani proseguirono la missione con calma e perizia, nonostante il pericolo evidente.
Fu cura del comandante del Città di Jesi e di tutto l’equipaggio, in quei concitati momenti, minimizzare i danni scaricando in mare tutto il possibile, per ridurre la durezza dell’impatto, e rifugiarsi nella zona più protetta della struttura dell’aeronave, dentro l’involucro. Poi, appena finiti in mare, recuperarono e distrussero la bandiera di guerra, per evitare l’onta di farla cadere in mani nemiche. Tentarono anche di completare l’affondamento del dirigibile, per lo stesso motivo e per proteggerne i "segreti" tecnici, ma rapidità e dinamica degli eventi lo resero impossibile: il relitto del Città di Jesi fu trainato in porto dagli austro-ungarici per essere analizzato e successivamente, risultando irrecuperabile, fu smantellato.
Prima di essere inviato al campo di prigionia di Mauthausen, Brivoresi riuscì a sapere che molte delle bombe erano giunte a segno, provocando danni e feriti nell’arsenale.
Nel duro campo di Mauthausen i sette del “Città di Jesi” raggiunsero i superstiti dell’equipaggio dell’altro dirigibile “Città di Ferrara” e basato invece a Jesi, abbattuto da contraerea e caccia nemiche dopo un attacco su Fiume pochi giorni prima, la notte del 23-24 maggio 1915. Ettore Satta si ammalò durante la prigionia, riuscendo a rimettersi e a tornare sano e salvo in patria, dopo l’armistizio, assieme al resto dell’equipaggio. Tutti furono decorati al valor militare. Evidentemente Satta ritenne necessario, appena possibile, rendere grazie alla Madonna di Pompei.
Dirigibile V1 "Città di Jesi" |
L’Italia è stato l’unico paese, assieme alla Germania, a impiegare dirigibili in prima linea per tutta la durata del conflitto. Relativamente lenti e in balia dei venti, i dirigibili potevano operare con possibilità di successo solo nelle notti senza luna e con meteo accettabile, tuttavia erano l’unico mezzo in grado di trasportare quintali o anche tonnellate di carico bellico su distanze di centinaia di chilometri. Il “Città di Jesi” fu così battezzato perché destinato a operare dall’hangar di Jesi ma fu successivamente trasferito a Ferrara proprio in vista dell'impiego contro Pola. Era di tipo semirigido, costruito a Vigna di Valle su progetto e direzione di Rodolfo Verduzio, che aveva collaborato con Gaetano Arturo Crocco a realizzare i primi dirigibili militari italiani, e denominato V1, come “Veloce”. Fu un tentativo di ottenere un mezzo più veloce grazie alla cura aerodinamica dell’involucro e della cabina, che era collegata direttamente all’involucro e non sospesa al di sotto di esso. La sua perdita, assieme a quella del “Città di Ferrara” ed altre, dimostrò che la quota operativa, compresa tra 2000 e 3000 metri, era insufficiente a garantire la sicurezza rispetto agli attacchi antiaerei. Per questo i successivi sviluppi tecnici furono orientati ad ottenere macchine alleggerite, capaci di salire molto di più, una volta sganciato carico e zavorra.
A differenza di quanto facevano gli austro-ungarici, le azioni di bombardamento italiane erano sempre dirette contro obiettivi militari, facendo tutto il possibile per evitare bersagli civili, ciò per diversi motivi tra cui la constatazione che il raggio d’azione dei mezzi disponibili ricadeva quasi per intero su terre “irredente”, ovvero i cui abitanti erano considerati a tutti gli effetti italiani.
*) Scusate la qualità della foto: avevo con me solo una fotocamera compatta.
Fonti bibliografiche
- G. Pesce, “I Dirigibili Italiani”, Mucchi 1982
- B. Di Martino, “L'aviazione italiana nella grande guerra”, Mursia 2011
- M. Coltrinari, “Le Marche e la Prima Guerra Mondiale”, Nuova Cultura
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