Curioso leggere oggi, a novantanove anni o poco meno dalla
pubblicazione, questo testo firmato nel 1911 da Claude Grahame-White, un
pioniere britannico dell’aeronautica. Incuriosisce perché parlare di “storia”
per un mezzo inventato appena otto anni prima sembra, agli occhi odierni,
addirittura fuori luogo. Si tratta, in effetti di un instant book, come si direbbe oggi, costruito per lucrare sulla
curiosità del pubblico nei confronti del “più pesante dell’aria” e anche un
modo di propagandare il nuovo mezzo. Rileggerlo ci consente di fare un tuffo
nella mentalità, nelle ambizioni e nelle speranze di quei tempi, ed è forse
questo l’aspetto più interessante.
Cominciamo dalla terminologia scelta dall’autore, che ci dà
una prima impressione dei tempi. I piloti spesso sono indicati come
"flyer", traducibile come “volatori” o qualcosa del genere.
L’automobile è "motor-car", essendo in epoca pionieristica anche
quella tecnologia e il “car” non avendo, di default,
un “motor”. Andare in automobile è "motoring". Ricognizione è
"reconnoitering". Non esistono aeroporti ma “aerodromi”.
Ci sono poi gli appassionati racconti delle imprese dei
pionieri, come i primi voli dei Wright, la trasvolata del Canale della Manica
da parte di Louis Bleriot e il tentativo da parte dello stesso Claude
Grahame-White di vincere il primo premio bandito dal Daily Mail nel 1906 per volare(a tappe) da Londra a Manchester o viceversa nell’arco di 24 ore, tentativo in
cui fu battuto da Louis Paulhan, altro celebre pioniere del volo.
Le fotografie che corredano il testo ritraggono per lo più l'autore o altri pionieri in varie imprese volatorie. Ci può sembrare paradossale come i risultati ottenuti nel
1911 fossero considerati eccezionali ma di fatto lo erano. Con la nostra
prospettiva attuale consideriamo quegli aviatori ancora pionieri ma il punto di vista di Graham-White è diverso: lui vede
(o vuole vedere) il volo come prossimo alla maturità. Anche i motori sono
definiti dall'autore "affidabili" rispetto a quelli dei primordi, il
che ci solleva un sorriso: facciamo fatica a considerare avanzato un rotativo Gnome, che divora benzina e olio e fa un rumore disperato, anche se,
obiettivamente, bisogna ammettere che si trattava di un gioiello di meccanica e
di un drastico passo avanti tecnologico. Nel 1911 il Canale della Manica era
stato attraversato ben sette volte! L’autore riconosce chiaramente che la chiave
per costruire i primi aeroplani era stata la disponibilità di motori leggeri,
affidabili e potenti, il tema ricorre spesso nel testo.
Hubert Latham è uno dei piloti più celebrati, fra quelli
attivi al momento in cui è stato scritto il libro. Sappiamo che ha fatto una
brutta fine in Africa pochi anni dopo, durante una battuta di caccia grossa, in
circostanze mai del tutto chiarite. Fine quasi incredibile visto i rischi che
aveva affrontato in aeroplano ma molto in linea con il personaggio e l’epoca.
Il monoplano Bleriot XI, che, tra i primordi, è forse il
più simile agli aeroplani odierni, è descritto come insolito, così come i suoi
comandi di volo. C’è invece attenzione per i monoplani Antoinette, che invece
decadranno rapidamente.
I principi base della sicurezza erano ancora embrionali a
dir poco. È considerato un fatto peculiare che Wilbur Wright passasse molto
tempo a controllare meticolosamente motore e aereo prima di ogni volo. Diversi
incidenti in un giorno erano considerati normali nella scuola di volo fondata da Louis Bleriot nel 1908. Nella
casistica degli incidenti mortali, che occupa un capitolo del libro, le cause principali sono individuate in
cedimenti di strutture, comandi di volo o motore, e solo in secondo luogo
vengono gli errori umani, tutto al contrario di ciò che accade oggi; la cosa
sembra comprensibile considerati i mezzi tecnici dell’epoca. Sorprende,
comunque, come si arrivasse al primo volo “da solista” con poche ore di pratica
e scarsissima preparazione teorica. Nel capitolo in cui si ragiona sulla
normativa legale che dovrà essere sviluppata per il volo si parla di problemi
di navigazione, sorvolo di proprietà e passaggi di confini, responsabilità
verso terzi e altri temi ma si dice poco dell’esigenza di migliorare la
formazione dei piloti e, paradossalmente, nulla sulla sicurezza intrinseca dei
mezzi e sulle prove a cui dovrebbero essere sottoposti per poter essere messi
in commercio: la qualità, la solidità e l’efficienza dei velivoli sono
implicitamente e totalmente delegate al produttore, una sorta di
“autocertificazione” diremmo oggi.
Anche l'impiego atteso dell'aeroplano era peculiare:
macchine che potessero operare solo da "aerodromi" erano considerate
limitanti perché inadatte al "cross-country". Veniva considerata una
necessità inderogabile garantire una bassa velocità di decollo e atterraggio, che
consentisse di operare da spiazzi poco preparati.
Il principale nemico dei “volatori” era il vento, che rendeva
pericoloso o anche impossibile volare nella maggior parte dei giorni. L’arma
per combatterlo era la velocità. Raggiungere le cento miglia l’ora (circa 160
chilometri) era considerata una meta! Ma per raggiungerla servivano motori e
strutture ancora da inventare. Ciò fa sembrare ancora più strano che l’autore
consideri finita l’epoca dei pionieri.
Si preconizza l’ala a "geometria variabile" allo
scopo di avere piccola superficie in crociera, per garantire velocità, e grande
al decollo e all'atterraggio, così da rendere il mezzo aereo a “velocità
variabile”. Due le soluzioni proposte: un’ala che si potesse allungare a
telescopio, oppure che si potesse allargare e restringere nel senso della
corda. Quest’ultima era considerata più promettente, perché intralciava di meno
con i numerosi montanti e tiranti necessari per garantire la rigidezza
strutturale, l’unica tecnologia disponibile era infatti quella di leggeri telai
in legno ricoperti in tela. Quest’idea dell’ala a geometria variabile, che era
data come prossima, non si è mai realizzata nelle forme immaginate e solo molti
anni dopo saranno sviluppati efficienti sistemi di ipersostentazione.
Uso militare dell’aeroplano: è già chiaro, nel 1911, che si
tratta di un passo necessario per consentire lo sviluppo e la diffusione del
mezzo aereo. Gli impieghi principali individuati sono di consegna rapida di
dispacci e di ricognizione. Nella realtà il primo sarebbe stato rapidamente
sostituito da telegrafo e radio, decisamente più rapidi. Quello di ricognizione
si sarebbe invece ancora più enfatizzato rispetto a quanto ipotizzato nel libro,
ma in una forma molto diversa. L'idea che un ricognitore ideale debba avere tre
membri d'equipaggio sembra balzana con gli occhi dell'esperienza posteriore, in
particolare quella della Grande Guerra. Il termine "scout" per
indicare la ricognizione è già presente e sarà comune negli anni successivi.
Inoltre il “ricognitore ideale” preconizzato era una macchina smontabile, che i
reparti dell’esercito potessero facilmente trasportare nel luogo d’operazioni
su camion e carri. La cosa non si è mai realizzata, se non in epoca molto
recente con i droni privi di pilota, anche perché non si immaginava che le armi
anti-aeree potessero svilupparsi così rapidamente: l’aeroplano è considerato
quasi immune dal fuoco da terra, a patto di conservare una quota di volo
sufficiente. Il combattimento fra mezzi aerei poi non è minimamente considerato:
l’aereo da caccia non fa parte dell’immaginario prossimo-venturo del 1911, così
come non le è quello di una forza aerea da gestire in maniera almeno
parzialmente autonoma rispetto alla fanteria.
Dopo i momenti di entusiasmo, l’autore fa un bagno di
realismo quando ammette che i modelli “attuali” siano prototipali e non ancora
adatti all'uso militare. La Grande Guerra costringerà in effetti a mettere da
parte molti dei modelli di successo prebellici, a cominciare, ad esempio, dai
monoplani Bleriot e derivati.
Non c'è nulla sull'impiego italiano di aeroplani e
dirigibili nella guerra contro l'Impero ottomano nel 1911. Probabilmente, dato
il clamore che suscitarono gli eventi, il libro fu scritto e pubblicato semplicemente
troppo presto.
Per il futuro dell'aeroplano, non saranno premi e
competizioni ad accelerarlo, come l'autore si augura, ma, purtroppo, la Prima
Guerra Mondiale, con la massa di investimenti per essa convogliati a scopi di
morte e distruzione. Sarà quella, non il pacifico sviluppo e le imprese
sportive, la via tramite cui l'aeroplano si avvierà a diventare affidabile e
potente.
Ottimismo per il futuro impiego civile, con speranza di
linee aeree transatlantiche già negli anni ’20. Correttamente si immagina che i
mezzi adatti al trasporto di passeggeri su lunghe tratte saranno dei monoplani,
ma i tempi sono decisamente sbagliati.
Ottimismo ancora maggiore per l'uso turistico
dell'aeroplano, paragonato alla crescente diffusione dell'automobile. Si
immagina che la diffusione del volo sarà proprio legata al desiderio dei ricchi
di possedere il nuovo mezzo, per esigenza pratica o per “status symbol”, come
si direbbe oggi. Sappiamo che invece la "automobile aerea" di ampia
diffusione non è mai diventata realtà, nonostante numerosi tentativi, e
l’industria aeronautica, per molteplici ragioni, non è mai diventata di massa.
Commenti
Posta un commento